I Tre Re Cani: una parabola di dolore e redenzione

Storia in formato audio

Non puoi leggere ma puoi ascoltare? Ecco la storia de I Tre Re Cani nel nostro podcast. Ascoltalo su Spotify

C’erano una volta, in un mondo dominato dagli uomini, tre grandi re cani: Dogo Argentino, Bulldog e Cavalier King Charles Spaniel. Ognuno regnava su un regno diverso, ma il loro potere non era scelto: era imposto. Erano frutti della selezione genetica estrema, simboli di razze “perfette” e dei desideri umani. Ma sotto la corona, soffrivano.

Dogo Argentino, il possente sovrano, era un re forgiato nel fuoco dell’ambizione umana. Nato dal sogno folle di un medico visionario, il dottor Antonio Nores Martínez, un moderno Dottor Frankenstein delle pampas, il Dogo portava con sé il peso di un’eredità innaturale. Il suo regno era la forza: ogni fibra del suo corpo, ogni battito del suo cuore, erano stati modellati per cacciare, combattere e vincere. Era stato creato per essere un cacciatore implacabile, un gladiatore delle distese argentine.

Era venuto al mondo in un silenzio assordante, il primo segno del prezzo pagato per la perfezione. Il suo udito, sacrificato sull’altare della selezione genetica, lo aveva abbandonato sin dalla nascita. Cresciuto in un regno dove i suoni della natura e della vita gli erano preclusi, ogni passo, ogni respiro, era accompagnato da un’eco vuota che lo isolava dal mondo.

Il suo corpo, grande e possente, nascondeva fragilità che lo tormentavano. La sua pelle, bianca e delicata, lo condannava a dolori incessanti: dermatiti, scottature e piaghe gli ricordavano ogni giorno quanto fosse fragile sotto quella maschera di invincibilità.

Gli uomini lo chiamavano “feroce”, temendo la potenza che loro stessi avevano creato. Ma dentro di lui non c’era rabbia, solo un dolore muto e una profonda solitudine. Il Dogo Argentino, creato per dominare, desiderava solo la pace: un rifugio lontano dalle aspettative crudeli di un mondo che lo voleva macchina, non essere vivente. Guardava il cielo, chiedendosi se la stella che brillava lontano potesse guidarlo verso un luogo dove essere finalmente libero, dove la forza non fosse tutto, e dove anche il silenzio potesse trasformarsi in armonia.

Nelle sue memorie, si dice che Martínez avesse scritto:
“Il cane perfetto non nasce, si crea. E ogni creazione degna di questo nome richiede sacrifici.” Sacrifici che Dogo non aveva ancora finito di pagare, con i suoi problemi di salute e il carattere frainteso.

Bulldog, il piccolo e tozzo re, era nato da un sogno umano, un esperimento di estetica e controllo. Nel suo sangue scorreva l’eredità di secoli di selezione, da quando gli uomini lo avevano creato per affrontare i tori in arene brutali. La sua struttura bassa e potente, le mascelle implacabili e il muso schiacciato lo avevano reso una macchina da combattimento, ma quando la violenza fu bandita, lo stesso corpo fu trasformato in una scultura vivente, un simbolo di moda e prestigio.

Nel suo regno di lusso e comodità, Bulldog non era più un gladiatore, ma un’icona. Gli uomini lo adoravano per il suo aspetto “buffo”, per quelle pieghe che raccontavano forza e vulnerabilità insieme. Ma ogni respiro era una lotta: il suo muso schiacciato gli toglieva l’aria, le sue zampe corte faticavano a sostenere il peso, e le pieghe della sua pelle lo tormentavano con infezioni e dolori.

Viveva in una gabbia dorata, acclamato nei concorsi, ma prigioniero del suo corpo deformato. Guardava il mondo, chiedendosi se un giorno avrebbe potuto vivere senza che la sua bellezza fosse una condanna, senza che ogni passo fosse un sacrificio.

I “Dottor Frankenstein” che crearono Bulldog erano guidati da un’ossessione per il controllo e la spettacolarità. Nei loro appunti immaginari si possono leggere frasi come:
“Se un cane può affrontare un toro, allora può affrontare il mondo.” O, nel caso del Bulldog Francese: “Un cane che non deve combattere, ma che deve affascinare.”

Hanno preso un animale resistente e adattabile e lo hanno trasformato in una creatura fragile, prigioniera del proprio corpo. Non contenti, lo hanno ridotto ulteriormente, cercando di farlo entrare nei salotti della borghesia francese come un’opera d’arte vivente.

Cavalier, il delicato re dal cuore nobile, era il frutto di un sogno pericoloso: creare il cane perfetto per le corti reali, un simbolo vivente di grazia e lusso. Discendente di una stirpe antica e troppo pura, il suo corpo era stato plasmato per affascinare, non per sopravvivere. Ogni dettaglio del suo aspetto, dagli occhi grandi e dolci al cranio arrotondato, era un’opera d’arte genetica, ma il prezzo della perfezione era inciso nel suo cuore e nella sua mente.

Il suo cuore, troppo piccolo e debole, portava un peso insopportabile. La sindrome della valvola mitrale lo condannava a un costante affanno, ogni battito una lotta contro il tempo. E il suo cranio, ridotto a una prigione per un cervello troppo grande, gli infliggeva dolori lancinanti, un tormento che non poteva essere nascosto dietro il suo sguardo dolce.

Era il preferito nei palazzi, amato per la sua grazia e per la sua natura affettuosa, ma la sua vita era breve, consumata dalle aspettative e dai privilegi che lo circondavano. Non viveva abbastanza a lungo per godere del lusso per cui era stato creato, e spesso guardava oltre le finestre dorate, chiedendosi se esistesse un mondo dove il cuore e la mente potessero essere liberi dal peso della perfezione.

Gli allevatori lavoravano come alchimisti, cercando di plasmare la bellezza assoluta: “Non importa il prezzo,” dicevano, “finché la forma rispecchia la grazia del passato.”

Una notte, una stella luminosa apparve nel cielo. Non era una stella come le altre: brillava con una luce calda e accogliente. Una voce parlò a ciascuno dei re:
“Seguite la mia luce. Un cucciolo vi attende, e con lui la possibilità di cambiare il destino dei cani.”

Senza sapere perché, i tre partirono, lasciando i loro regni e le loro sofferenze.

Il cammino era lungo e pieno di ostacoli. La stella li guidava attraverso luoghi che mai avrebbero immaginato.

I Re attraversarono un enorme capannone che sembrava senza fine, le pareti spoglie impregnate di un odore acre di disperazione. Dentro, cuccioli appena nati piangevano in gabbie strette, ammassati uno sull’altro, senza calore, senza carezze, senza la protezione di una madre. Venivano strappati dalle loro madri prestissimo, spesso prima ancora di essere svezzati, condannati a un’infanzia mutilata, senza la possibilità di imparare ciò che ogni cucciolo dovrebbe sapere: il linguaggio dell’amore, il gioco, la fiducia.

Le madri, esauste e consumate, vivevano in un ciclo infinito di riproduzione. Trattate come macchine, erano private di ogni dignità, costrette a partorire cucciolata dopo cucciolata, senza mai conoscere il destino dei loro piccoli. I loro occhi spenti raccontavano una storia di resistenza spezzata, di una vita ridotta a un’ombra. Intorno a loro, i padri erano figure inesistenti, mai presenti, mai riconosciuti: il loro ruolo finiva nel momento della riproduzione, e con esso scomparivano come se non fossero mai esistiti.

I Re, abituati ai propri regni, abbassarono lo sguardo, incapaci di sostenere quella vista. Le pieghe del Bulldog tremavano di rabbia e dolore, le orecchie del Dogo si piegarono verso il basso in un silenzioso lutto, e gli occhi del Cavalier si riempirono di lacrime per quei piccoli che non avrebbero mai conosciuto la libertà.

“Siamo davvero re, se questo è il prezzo del nostro sangue?” si chiesero, mentre il silenzio del capannone veniva spezzato solo dai gemiti disperati di cuccioli che cercavano una madre che non sarebbe mai tornata.

Continuando il loro cammino, i Re arrivarono in un’arena scintillante, un luogo dove la luce artificiale brillava con una freddezza che nulla aveva a che vedere con il calore del sole. Il pavimento era lucido come uno specchio, e sui suoi riflessi camminavano cani di ogni razza, trasformati in esemplari da esposizione. Sfilavano davanti a giudici severi, i loro movimenti calcolati, le loro pose innaturali, tutto orchestrato per soddisfare standard che sembravano disegnati per impressionare gli uomini, non per rispettare i cani.

Il Bulldog, fermo accanto ai compagni Re, riconobbe alcuni suoi simili. Erano identici a lui, o forse no: più perfetti, forse più giovani, ma con la stessa prigionia scolpita nei corpi. Quei Bulldog ansimavano disperati, i loro muscoli rigidi per mantenere pose forzate, i loro occhi spenti di stanchezza. I mantelli brillavano di una lucentezza che sapeva di artificio, come se bastasse un tocco per far crollare l’illusione. “Questo è il valore che ci danno: un trofeo su uno scaffale,” pensò, sentendo il respiro farsi più pesante al ritmo della loro sofferenza.

Ma non era solo una competizione: era un business, un’enorme macchina che girava intorno a quei cani, consumandoli pezzo per pezzo. Gli allevatori si affollavano attorno ai giudici, stringendo mani e scambiando sorrisi che nascondevano trattative di denaro. Ogni cane era un investimento: pedigree, premi e certificati diventavano biglietti d’ingresso per un mercato che non conosceva pietà.

Intorno all’arena, bancarelle e stand esponevano tutto ciò che il mondo del pet aveva da vendere. Cibo industriale presentato come “premium”, accessori di lusso, shampoo che promettevano un mantello impeccabile. I Re videro collari tempestati di strass e guinzagli che costavano quanto un’automobile. Il business del pet si estendeva oltre i confini di quell’arena, fino alle case dei “padroni”, dove alimenti pieni di conservanti venivano venduti come “salutari” e prodotti superflui venivano spacciati come indispensabili.

Il Cavalier, con gli occhi pieni di tristezza, osservò un gruppo di cuccioli in vendita, chiusi in teche di vetro come gioielli preziosi. “Ecco il futuro che ci aspetta,” pensò. I cuccioli non erano individui, ma prodotti, perfettamente confezionati per alimentare un’industria che non vedeva in loro la vita, ma solo un profitto.

La stella cometa brillava sopra l’arena, ma nessuno alzava lo sguardo per vederla. Gli uomini erano troppo occupati a contendersi il prossimo premio, troppo presi dal rumore della competizione per ascoltare i gemiti dei cani. I Re si allontanarono, il cuore appesantito, chiedendosi quanto ancora sarebbe durato quel gioco crudele.

Infine, i Re giunsero a un luogo diverso dagli altri, dove il silenzio era più assordante di qualsiasi clamore. Davanti a loro si estendeva un enorme rifugio, una distesa di sbarre arrugginite e recinti troppo piccoli per contenere la vita. Dietro quelle griglie, centinaia di cani di ogni tipo fissavano i Re con occhi pieni di un miscuglio doloroso di speranza e paura. Alcuni abbaiavano debolmente, altri restavano rannicchiati in un angolo, le zampe che tremavano sotto il peso della rassegnazione.

I Re avanzarono lentamente, osservando le condizioni di quei “fratelli” dimenticati. Erano gli scarti del sistema: cuccioli che non avevano trovato un acquirente, cani abbandonati perché non più utili o abbastanza belli, animali condannati a una vita di attesa, come oggetti messi in un magazzino polveroso. Le sbarre che li circondavano non erano solo fisiche, ma simboliche, un confine tra il mondo degli uomini e la libertà che quegli esseri non avrebbero mai conosciuto.

“Questo è il destino dei nostri fratelli,” disse Cavalier, con il cuore spezzato. La sua voce era un sussurro, soffocata dall’eco di quel luogo, ma le sue parole riecheggiarono nei cuori degli altri Re.

Eppure, sotto il velo della tristezza, c’era un’ulteriore verità amara. Quel luogo, apparentemente un rifugio, era parte di un business. Cani randagi strappati alle strade, a una vita semplice nei boschi, venivano portati lì con la promessa di salvezza, ma spesso erano solo numeri, pezzi di un mercato dove ogni cane aveva un costo e una potenziale rendita. I cuccioli erano fotografati, puliti, messi in vetrina su siti web come oggetti in vendita. “Adozione,” dicevano gli uomini, ma dietro a quelle parole a volte si nascondeva un mondo di profitti e scambi, dove il destino dei cani era deciso più dal denaro che dalla compassione.

I Re sentirono raccontare storie di cani che venivano portati dal sud al nord del mondo, caricati su camion e aerei, per finire su un divano. Alcuni trovavano famiglie amorevoli, è vero, ma molti altri finivano per essere nuovamente abbandonati o rimbalzare da un rifugio all’altro. “E così il ciclo continua,” pensò Bulldog, i suoi occhi fissi su un cane anziano che sembrava aspettare da una vita.

E che dire dei randagi, quelli che vivevano liberi nelle campagne, nei boschi, nei villaggi? Una volta erano cani che correvano al sole, che cacciavano, che dormivano sotto le stelle. Ora, gli uomini li consideravano un problema, una minaccia da “gestire”. Li strappavano dalla loro libertà, li portavano in rifugi, e li privavano di ciò che li rendeva vivi: il diritto di essere parte della natura.

I cani, infatti, non potevano più vivere liberi in natura. Le città, le strade, le leggi, e lo stesso sistema umano avevano reso impossibile per loro sopravvivere senza un “padrone”. La libertà, per i cani, era diventata una condanna, un destino che li portava a morire di fame, malattie o abusi. “Non c’è più un posto per noi, né liberi, né in catene,” disse Dogo, il tono basso e carico di tristezza.

Mentre lasciavano quel luogo, i Re sapevano di aver visto la verità nascosta del loro mondo. Non erano solo prigionieri di corpo o lignaggio, ma anche di un sistema che li aveva trasformati in merci, incapaci di tornare a essere ciò che erano sempre stati: semplici esseri viventi, senza prezzo né catene.

Dopo giorni di viaggio, la stella si fermò sopra una piccola capanna in un’oasi nel cuore del deserto. Dentro, i Re trovarono un cucciolo speciale, un cane universale con il pelo arruffato e occhi vivaci. Non era bello secondo gli standard umani, ma era libero, felice e sano. Viveva circondato da altri animali, senza catene né gabbie.

I Re si inginocchiarono davanti a lui, riconoscendo in quel cucciolo una purezza che avevano dimenticato. Ognuno offrì un dono:

Dogo porse un collare da caccia, simbolo della sua forza. Bulldog donò una medaglia d’oro vinta nei concorsi. Cavalier presentò il libro genealogico della sua nobile stirpe.

Il cucciolo scosse la testa e disse: “Non voglio i vostri doni. Non voglio forza, trofei o sangue puro. Voglio che voi usiate ciò che avete visto per cambiare il mondo.”

I Re capirono. La loro sofferenza non era un caso: era il risultato di un sistema creato dagli uomini, un sistema che ora dovevano distruggere. Tornarono nei loro regni, ma non per governare. Si misero a capo di una rivoluzione.

Dogo, il possente sovrano, divenne il simbolo di una battaglia senza compromessi. Guidò una campagna per chiudere ogni forma di allevamento canino: la sua sofferenza doveva diventare una lezione per gli uomini. Raccontava la sua storia, parlava del prezzo della perfezione, delle madri ridotte a macchine e dei cuccioli strappati alle loro cure. “Ogni cane, che sia di razza o universale, merita amore e rispetto, non perché è utile o bello, ma perché è vivo,” proclamava, spingendo gli uomini a vedere oltre le gabbie, oltre i pedigree, e a scegliere l’adozione o la libertà come atto di vera compassione.

Bulldog, il piccolo re dalle pieghe doloranti, divenne la voce che denunciava i concorsi di bellezza. Viaggiò di città in città, mostrando immagini dei suoi simili costretti a sfilare, privati della dignità, della salute, e spesso della vita stessa. Parlava dei cuccioli modellati per soddisfare standard arbitrari, dei corpi deformati, del business che ruotava attorno a quei trofei scintillanti. “Questo non è amore per i cani, è un’illusione per l’ego umano,” diceva, smascherando l’ipocrisia che trasformava i cani in oggetti di lusso, invece che in compagni di vita.

Cavalier, il re fragile dal cuore spezzato, divenne il simbolo della lotta contro la selezione genetica estrema. Raccontava del dolore che ogni battito del suo cuore portava, della prigione del suo cranio troppo piccolo, delle vite brevi e tormentate di tanti suoi fratelli. “La bellezza non deve essere una condanna,” ripeteva. Promuoveva un ideale di salute e benessere sopra l’estetica, invitando gli uomini a rispettare la natura dei cani invece di forzarla per creare immagini da copertina.

Insieme, i tre Re viaggiavano per il mondo, le loro voci unite in un grido di rivoluzione. Parlavano di un nuovo rapporto tra uomini e cani, basato sulla libertà, sul rispetto e sull’uguaglianza. Le loro parole ispiravano cuori, abbattendo le gabbie, sia fisiche che mentali, che avevano imprigionato generazioni di cani.

Il loro cammino era difficile, e non tutti li ascoltavano, ma ogni passo portava un cambiamento. Alcuni allevamenti chiusero, le luci di certe arene si spensero, e nuove generazioni di uomini iniziarono a vedere i cani non come oggetti o status symbol, ma come esseri viventi, degni di amore semplicemente perché esistevano.

I Tre Re Cani, ormai liberi dal peso delle loro corone, tornarono alla capanna dove tutto era iniziato. Lì, accanto al Cucciolo Universale, vissero il resto dei loro giorni, non più come simboli di razza, ma come semplici cani.

E la stella che li aveva guidati continuò a brillare, alta nel cielo, come un faro di speranza. La sua luce ricordava a tutti che ogni cane, indipendentemente dall’aspetto o dalla sua storia, è una vita preziosa, degna di amore, rispetto e libertà. Ogni suo bagliore parlava di dignità ritrovata, di un mondo in cui il concetto di razza, con le sue gabbie visibili e invisibili e i suoi standard artificiali, fosse finalmente estirpato, lasciando spazio a un rispetto autentico per ogni essere vivente, riconosciuto per il suo valore unico e inestimabile.

FINE

antispecismo i tre re cani

Dogo Argentino: come è nato?

Il Dogo Argentino è il prodotto di un’ossessione umana, una creazione che incarna l’arroganza di chi crede di poter modellare la vita a proprio piacimento. Il suo creatore, il dottor Antonio Nores Martínez, non era un semplice allevatore, ma un uomo che giocava a fare Dio. Negli anni Venti del Novecento, il suo laboratorio-kennel somigliava più a un covo di esperimenti folli che a un luogo di cura per gli animali. Qui, con l’ambizione di creare il cane perfetto per la caccia grossa, Martínez diede vita a una razza destinata a soffrire per il desiderio di potenza degli uomini.

Partendo dal Perro de Pelea Cordobés, un cane da combattimento già vittima della brutalità umana, Martínez iniziò a mescolare il sangue di diverse razze con una precisione quasi alchemica: il Bulldog Inglese per la forza della mascella, il Pointer Inglese per l’olfatto, il Bull Terrier per la determinazione. Ogni accoppiamento era calcolato per creare un animale che fosse una macchina da guerra, un gladiatore silenzioso capace di affrontare cinghiali e puma nelle pampas argentine. Non c’era spazio per il benessere o per la vita del cane come individuo: il Dogo Argentino era un progetto, non una creatura vivente.

Ma il prezzo di questa “perfezione” fu devastante. La selezione per il mantello bianco portò con sé sordità congenita, una condanna che colpisce fino al 20% della razza. Ogni cucciolo nato sordo era un sacrificio, accettato come “necessario” per raggiungere l’obiettivo estetico. La pelle sensibile, facilmente irritabile e soggetta a dermatiti e allergie, rendeva il Dogo vulnerabile a condizioni che lo tormentavano costantemente. E il carattere del cane, progettato per essere forte e leale, veniva spesso frainteso dagli uomini, che lo etichettavano come “feroce” e lo abbandonavano quando non corrispondeva alle loro aspettative.

Martínez, descritto nei suoi diari come un visionario, sembrava insensibile alla sofferenza dei suoi cani. “Il cane perfetto non nasce, si crea. E ogni creazione degna di questo nome richiede sacrifici,” scriveva, ignorando che quei sacrifici erano le vite e il benessere degli animali che aveva trasformato in strumenti.

I Dogo Argentini, ora costretti a vivere in ambienti urbani e in spazi ristretti, sono un monito della crudeltà con cui gli uomini giocano con la natura, lasciando dietro di sé generazioni di sofferenza.

Aiuta il Rescue italiano dei cani Dogo Argentino EL ALMA DE DOGO ARGENTINO

La lista delle sofferenze

  1. Sordità: Uno degli effetti collaterali più comuni della selezione genetica che favorisce il colore bianco del mantello è la sordità congenita. Circa il 10-20% dei Dogo Argentini è completamente sordo, mentre una percentuale maggiore soffre di sordità parziale. Questo handicap lo rende spesso incomprensibile e difficile da gestire per chi non conosce la razza.

  2. Dermatite e problemi cutanei: Il mantello bianco, pur essendo esteticamente distintivo, è spesso associato a una pelle estremamente sensibile. Il Dogo Argentino è soggetto a dermatiti, irritazioni, allergie e scottature, specialmente in climi caldi o umidi.

  3. Carattere incompreso: Il Dogo Argentino è stato creato per essere un cacciatore implacabile, ma anche un cane estremamente leale. Tuttavia, la sua forza e il suo coraggio vengono spesso scambiati per aggressività, soprattutto quando è mal gestito o allevato da persone inesperte. Questo porta a fraintendimenti che alimentano la sua reputazione di cane pericoloso, una fama che lo condanna a maltrattamenti o abbandono.

Incroci per “creare” un cane Dogo Argentino

Ovvero,  un disastro e tanta sofferenza per un cane che ora è costretto a vivere in ambienti urbani e in spazi troppo ristretti.

  1. Perro de Pelea Cordobés: Base genetica principale, cani da combattimento originario dell’Argentina, noti per la sua forza e aggressività. Questi cani era il punto di partenza del progetto.

  2. Mastino dei Pirenei: Aggiunto per conferire taglia e forza fisica, oltre che per aumentare la resistenza.

  3. Bull Terrier: Contribuì al coraggio e alla determinazione, ma anche alla struttura muscolare compatta.

  4. Bulldog Inglese: Per aggiungere potenza alla mascella e un corpo robusto, caratteristiche utili durante la caccia grossa.

  5. Pointer Inglese: Per affinare l’olfatto e aggiungere abilità nel localizzare le prede.

  6. Alano Tedesco (Gran Danese): Per incrementare la taglia e l’eleganza, senza sacrificare la forza.

  7. Boxer: Per aggiungere agilità, energia e resistenza, oltre a un carattere equilibrato.

  8. Irish Wolfhound: Per migliorare la velocità e la capacità di coprire lunghe distanze durante la caccia.

  9. Dogue de Bordeaux: Per rafforzare ulteriormente la struttura muscolare e la potenza del morso.

  10. Levriero Inglese (Greyhound): Per apportare velocità e agilità, rendendo il Dogo più rapido durante l’inseguimento della preda.

Bulldog: come è nato?

Il Bulldog, sia Inglese che Francese, è nato dalla brutalità e dall’estetica malata di chi ha deciso che un cane potesse essere modellato come un oggetto, senza alcun rispetto per la sua essenza. Nel XIII secolo, in Inghilterra, gli uomini selezionarono questa razza per partecipare al bull-baiting, un “sport” sanguinario in cui i cani erano costretti ad affrontare tori in combattimenti brutali. Ogni accoppiamento era un passo verso la creazione di un animale che fosse solo forza, con mascelle capaci di mordere e non lasciare la presa. Non c’era compassione, solo la volontà di trasformare un essere vivente in un’arma.

Quando il bull-baiting fu bandito, il Bulldog rischiò l’estinzione. Ma invece di lasciare che questa razza, vittima della crudeltà, scomparisse in pace, alcuni allevatori decisero di ridisegnarla. Non per salvarla, ma per sfruttarla in un nuovo modo. “Non deve più combattere,” dicevano, “ma deve impressionare.” E così nacque il Bulldog moderno, con una testa sproporzionata, un corpo tozzo e pieghe profonde. La sua stessa forma divenne una condanna.

I problemi respiratori dovuti al muso schiacciato trasformarono ogni respiro in una lotta. Le pieghe cutanee, considerate “iconiche”, divennero il terreno fertile per dermatiti croniche. La struttura scheletrica deformata portò a dolori articolari e difficoltà motorie. Anche il parto, un momento che dovrebbe essere naturale e sacro, divenne impossibile senza un intervento chirurgico.

Il Bulldog Francese, una versione “di lusso” del Bulldog Inglese, fu il frutto di ulteriori manipolazioni. Con il contributo di razze come il Carlino e terrier locali, gli allevatori crearono un cane ancora più piccolo, più fragile, destinato a diventare un simbolo di moda. Il suo corpo, però, era una prigione: ogni passo era faticoso, ogni giorno una sfida.

I creatori del Bulldog, guidati da un’arroganza insaziabile, non crearono cani: crearono oggetti, icone, a costo della sofferenza di intere generazioni. “Se un cane può affrontare un toro, allora può affrontare il mondo,” dicevano. Ma non si fermarono finché il mondo non affrontò loro, mostrando il prezzo della loro ambizione.

La lista delle sofferenze

  1. Problemi respiratori (Sindrome Brachicefalica): I Bulldog, con i loro musi schiacciati, hanno gravi difficoltà a respirare. Questo li rende soggetti a colpi di calore, sforzo respiratorio anche durante il riposo, e incapacità di vivere una vita normale. Ogni respiro è una battaglia.

  2. Problemi cutanei (dermatite): Le profonde pieghe del muso, che li rendono tanto iconici, sono terreno fertile per infezioni cutanee, dermatiti e irritazioni croniche.

  3. Difficoltà di parto: La testa sproporzionata rispetto al corpo rende quasi impossibile per le femmine partorire naturalmente. La maggior parte dei Bulldog nasce tramite cesareo, un chiaro segno dell’innaturalità della razza.

  4. Problemi articolari e scheletrici: La loro struttura compatta e le zampe corte causano displasie, artriti precoci e difficoltà motorie.

  5. Difficoltà di regolazione termica: Incapaci di raffreddarsi adeguatamente, i Bulldog soffrono il caldo più di molte altre razze, il che li rende vulnerabili a colpi di calore.

Incroci per creare un cane Bulldog Inglese

  1. Antichi Mastini (Mastiff): Cani robusti e possenti, usati per la caccia e la protezione, che fornirono al Bulldog la forza fisica e il coraggio.

  2. Antichi Alani (Alaunt): Una razza estinta, simile ai Mastini, utilizzata nel bull-baiting e nella caccia grossa. Gli Alaunt portarono agilità e determinazione.

  3. Perro de Presa Canario (o cani simili): Cani da presa spagnoli o portoghesi, selezionati per la loro capacità di controllare grandi animali.

  4. Cani da Combattimento Inglesi Medievali: Antenati dei moderni Terrier e Mastini, usati nei combattimenti e nel controllo del bestiame. Questi cani erano noti per la loro aggressività e resistenza.

Incroci per creare un cane Bulldog Francese

Il Bulldog Francese, una versione più piccola e “di compagnia” del Bulldog Inglese, è stato ottenuto incrociando le seguenti razze di cani:

  1. Bulldog Inglese (versioni più piccole): Le versioni più minute del Bulldog Inglese furono esportate in Francia e usate come base genetica.

  2. Terrier locali (probabilmente il Terrier di Ratier): Terrier francesi utilizzati per ridurre ulteriormente la taglia e rendere il cane più agile e vivace.

  3. Carlino (Pug): Contribuì a dare al Bulldog Francese il muso ancora più schiacciato e un carattere amichevole.

Cavalier King Charles Spaniel: come è nato?

Il Cavalier King Charles Spaniel è un cane che non è stato creato per vivere, ma per adornare. Nato nelle corti europee del Rinascimento, il Cavalier moderno è il risultato di un’ossessione estetica che ha trasformato un cane da compagnia in un simbolo di lusso. Durante il regno di Carlo II d’Inghilterra, questi piccoli spaniel divennero il passatempo preferito del re. Ma fu nel XX secolo che la razza prese la forma odierna, grazie a una selezione genetica spietata.

Negli anni ’20, allevatori come Roswell Eldridge iniziarono a “ricreare” l’antico spaniel di corte. Il risultato non fu un cane, ma un’opera d’arte vivente: occhi grandi e dolci, un cranio arrotondato, un aspetto innocente. Ogni tratto era progettato per suscitare tenerezza, ma quel design portava con sé sofferenze inimmaginabili.

Il cuore del Cavalier, troppo piccolo, lo condanna a problemi cardiaci che affliggono quasi tutti gli esemplari. Il suo cranio, ridotto per motivi estetici, è una prigione per un cervello troppo grande, causando dolori lancinanti e malattie neurologiche. Anche gli occhi, considerati “adorabili”, sono vulnerabili a ulcere e infezioni croniche.

Gli allevatori non erano interessati alla salute o al benessere. “Non importa il prezzo,” dicevano, “finché la forma rispecchia la grazia del passato.” Ma quel prezzo veniva pagato dai cani, non da loro. Ogni cucciolo nato era una vita destinata alla sofferenza, sacrificata sull’altare dell’estetica.

La lista delle sofferenze

  1. Problemi cardiaci congeniti (Sindrome della Valvola Mitrale): Il cuore del Cavalier è spesso malato. Circa il 50% dei Cavalier sviluppa problemi cardiaci entro i cinque anni di vita, e questa percentuale sale al 100% per gli esemplari più anziani.

  2. Siringomielia: Una malattia neurologica devastante causata dal cranio troppo piccolo per contenere il cervello. Questa condizione provoca dolori lancinanti, crisi epilettiche e difficoltà motorie.

  3. Problemi oculari: Gli occhi grandi e sporgenti, così apprezzati per il loro aspetto dolce, sono vulnerabili a ulcere, secchezza e infezioni croniche.

  4. Problemi respiratori: Sebbene meno gravi rispetto a razze brachicefale come il Bulldog, il muso corto del Cavalier può causare difficoltà respiratorie e russamento.

  5. Dermatiti: La pelle delicata sotto il mantello soffice è soggetta a dermatiti, allergie e irritazioni.

  6. Carattere incompreso: La dolcezza del Cavalier viene spesso fraintesa. È un cane che desidera compagnia costante, ma questa dipendenza emotiva lo porta a soffrire di ansia da separazione e depressione se lasciato solo.

Incroci principali per “creare” un cane Cavalier King

  • Spaniel da compagnia europei (antenati generici degli Spaniel).
  • King Charles Spaniel (English Toy Spaniel moderno).
  • Pug (Carlino) (per il muso schiacciato e testa arrotondata, influenze storiche).
  • Pointer/Setter Spaniel di piccola taglia (per il recupero delle caratteristiche storiche nel XX secolo).

LETTURE CONSIGLIATE

Trovi i libri consigliati presso La Libreria Itinerante del rifugio per animali liberi Ippoasi. Come si legge dal loro sito:

L’intero ricavato sarà utilizzato per coprire le ingenti spese legate al mantenimento dei nostri due rifugi e degli animali che li abitano.

Se desideri approfondire la questione dei cani da una prospettiva antispecista, ti consiglio le seguenti letture:

  • Troglodita Tribe. Chiudiamo i canili. Edizione integrale. Ortica Editrice, 2022. ISBN: 9788831384780

Questo libro offre una critica radicale ai canili, proponendo una riflessione profonda sul rapporto tra esseri umani e cani.

Chiudiamo i canili by Troglodita Tribe | Goodreads

  • Troglodita Tribe. È tempo di mordere: storie minime di cinofilia nera. Pop Edizioni, 2023. ISBN 979-12-80297-04-4

Una raccolta di racconti che sfidano i luoghi comuni sulla cinofilia, proponendo una visione alternativa e provocatoria del rapporto con i cani.

E' tempo di mordere. Il nuovo libro di Troglodita Tribe - Vivere Vegan

  • Mantegazza, Raffaele. L’ultimo scodinzolio. La morte degli animali. Ortica Editrice, 2019. ISBN 9788897016944

Un saggio che esplora il legame tra uomini e cani, analizzando le implicazioni etiche e affettive di questa relazione.

L'ultimo scodinzolio: La morte degli animali (gli artigli) by Raffaele ...

  • Macelloni, Manuela. La filosofia del cane. Orme per un futuro post-umanista. Mimesis Edizioni, Milano, 2023. ISBN 9788857595580

Un’opera che indaga il mondo canino attraverso una lente filosofica, offrendo spunti di riflessione sull’essenza e il comportamento dei cani.

La filosofia del cane - Manuela Macelloni - eBook - Mondadori Store

  • Bertuzzi Niccolò, e Marco Reggio (a cura di). Smontare la gabbia: Anticapitalismo e movimento di liberazione animale. Mimesis Edizioni, 2019. ISBN: 9788857547169

Un saggio che analizza le strutture di oppressione verso gli animali, proponendo una prospettiva antispecista per decostruire le gabbie mentali e fisiche imposte agli esseri viventi. In particolare i capitoli dedicato ai cani e alla politica: Destre e liberazione animale. Fra qualunquismo e strumentalizzazione, di Niccolò Bertuzzi e Marco Reggio, e Liberi e Randagi: Come costruire il cane e distruggerci allo stesso tempo di Davide Majocchi.

Smontare la gabbia: Anticapitalismo e movimento di liberazione animale ...

  • Fedi, B., & Corsini, M. (a cura di). (2019). L’errore antropocentrico. Uomo-natura-altri viventi. Con un’intervista a Dacia Maraini. Mimesis. ISBN 9788857554570

Questo libro critica la visione antropocentrica della società, invitando a ripensare il rapporto con gli animali in un’ottica di rispetto e uguaglianza. In particolare due capitoli dedicati ai cani: Randagio non è reato, di Lilia Casali, e Il Randagismo, di Cristiana Funari. 

L’errore antropocentrico (ebook), Aa. Vv. | 9788857558219 | Boeken ...

CONCLUSIONI

La storia de I Tre Re Cani ci invita a riflettere su ciò che abbiamo costruito e sulle vite che abbiamo modellato, spesso senza considerare le conseguenze per i cani che sono costretti a viverle. Non si tratta solo di razze, concorsi o allevamenti, ma di un sistema che ha messo al centro i nostri desideri, ignorando la sofferenza che ne deriva.

Il punto è creare nuove narrazioni, riconoscere che non esistiamo solo noi. I cani, come tutti gli esseri viventi, hanno una loro essenza, una loro dignità, un loro valore che non deve essere misurato in base ai nostri standard estetici o alle nostre necessità. I cani devono essere liberi di essere ciò che sono, non ciò che vogliamo che siano.

Questa non è solo una questione etica; è una questione di rispetto. Ogni forma di vita merita di essere considerata per ciò che è, non per ciò che può offrire o rappresentare per noi. Anche quella dei cani che, ricordiamolo, chiamiamo “i migliori amici dell’uomo”.

Niente può scusare tutta questa sofferenza. Nessun trofeo, nessuna moda, nessuna tradizione giustifica ciò che abbiamo fatto a questi e tanti altri cani. È tempo di guardare il mondo con occhi diversi, di accettare che esiste un punto di vista Altro, e di agire per creare un futuro in cui la vita non sia più una merce, ma un valore da proteggere.

La stella che ha guidato i Tre Re Cani ci ricorda che il cambiamento è possibile, se abbiamo il coraggio di cambiare il nostro sguardo e le nostre azioni.

Grazie per avermi letto e ascoltata fin qui! Tiziana Caretti

A tutti i cani,
esseri indipendenti, con una loro storia e un loro mondo,
che per millenni hanno sopportato il peso della nostra presenza,
adeguandosi alle nostre follie,
alle nostre ambizioni,
alle gabbie – fisiche e mentali – che abbiamo imposto loro.

A voi, che non avete chiesto di essere plasmati,
addestrati, o ridotti a strumenti dei nostri desideri.

Le vostre vite hanno raccontato la resistenza,
il dolore silenzioso, e la capacità di adattarsi
anche quando ciò significava rinunciare alla libertà,
alla dignità, al vostro stesso essere.

Possa il futuro riconoscere la vostra sofferenza,
non per assolverci, ma per imparare finalmente a cambiare.

Questo è per voi, non come oggetti del nostro amore,
ma come esseri viventi che meritano di essere lasciati
semplicemente, autenticamente, sé stessi.